Storie eterne di oche
Anatra e faraone al forno e al coccio

Enogastronomia 06 ago 2020


Irriducibili mangiatori di polli. Dati Coldiretti alla mano, solo nelle Marche se ne macellano ogni anno oltre 55 milioni. Il che eclissa le 4mila faraone, 4mila anatre e mille oche che finiscono sulle nostre tavole. Gusto condizionato dalla storia. Quando, alla fine del XVesimo secolo, Henry IV distribuì il manuale di avicoltura dell'agronomo de Serres che s'ispirò al trattato del bresciano Agostino Gallo (nomen omen). Un modo per rimediare alle carestie provocate dalle guerre di religione. «A nessuno – disse - deve mancare la domenica una gallina nella pentola». Nacque così la famosa “poule au pot” anche se ad imporre nell'aia il dominio del pollo, fu l'arrivo delle razze asiatiche nel XIXesimo e il boom degli allevamenti negli anni '40 e '50, come nella Vallesina insegna la bella storia del gruppo Fileni.

IL MAIALE DEL POVERO

«Eppure oche, faraone, anatre sono carni pregiate» afferma il poeta del cibo Rolando Ramoscelli. Con Gianfilippo Centanni ha scritto libri che esaltano la sincerità della cucina marchigiana. «Siamo un popolo di cacciatori pertanto l'anatra è il Germano, quella selvatica. A Gradara, le sue carni grasse e saporite sono cucinate alla Malatesta. Ricetta che risale alla nobile famiglia guelfa del Trecento che cuoceva l'anatra con carota, cipolletta, sedano, mezzo limone, alloro, chiodi di garofano, salvia e vino rosso. Piatto che ritroviamo nei borghi e nelle città dell'alta valle del Metauro ma che lì si chiama “anatra alla Fiumarola”. L'anatra muta – procede - era così importante che nella Valle del Foglia, per il suo alto contenuto di grassi, era considerata il maiale dei poveri. Lì la si cuoce in forno unta d'olio con all'interno un trito di aglio, pancetta e rosmarino. Solo a metà cottura la si bagna con del vino bianco. Anche nella gola del Furlo - conclude - l'anatra è importante nella cucina tipica. Questa volta, con le sue carni si condiscono le tagliatelle e sono abbinate agli asparagi».

(Ristorante Da Rolando, Corso Matteotti, San Costanzo (PU) – 0721950990).

L'anatra, l'agrichef Isabella Silvestrini l'alleva nel suo agriturismo biologico “Pieve del Colle” ad Urbania. Sviluppa un interessante stile culinario: lascia dialogare usanze autentiche e moderne visioni genuine. La propone in “friccò” che cuoce in un tegame di terracotta di Fratte Rosa (PU) con dell'aglio, del rosmarino, della salvia e un aceto frutto di vitigni Barbera, Sangiovese, Biancame, Trebbiano ed un’anima di ruta che fa la differenza.

(www.pievedelcolle.com).

L'OCA DELLA TREBBIATURA

Anche l'agrichef Giovanni Togni è convinto che il benessere di un animale cresciuto all'aperto dia maggior qualità e sapori alle carni. Lascia liberi di razzolare polli, galline, faraone, piccioni, capponi, tacchini e oche. In pochi anni ha creato vicino a Jesi un'intelligente e completa offerta agrituristica. È fattoria didattica, negozio, ristorante e anche agri-macelleria dove è possibile comprare a km zero e pronte da cuocere le carni dell'animale dell'azienda. Nel suo ristorante – meglio su ordinazione - è sempre possibile mangiare il famoso “menù del Batte”. Quello tipico, a base d'oca, proposto nei giorni di trebbiatura a chi aiutava. Con le interiora, il cuore, lo stomaco, il fegato, le zampe, i budelletti condisce con un sugo rosso la pasta e come secondo propone la classica oca arrosto. Ha allo studio un lonzino di petto d'oca che – svelano i genitori Giuseppina Barigelli e Enrico Togni - in cantina è già pronto all'assaggio.

(Antica Fattoria, via Scarpara Alta, Santa Maria Nuova, 3497275523).

Altro piatto di ispirazione contadina con la vivacità di un gusto di oggi è quello proposto da Andrea Tantucci e Gessica Mestri, i proprietari della “Trattoria Gallo Rosso” a Filottrano (0717223406). Propongono una cucina versatile, ricca di ingredienti del territorio che intreccia le loro personalità. Uniscono un talento naturale e l'esperienza e il risultato si traduce in piatti radicati ed originali. Come la loro deliziosa oca cotta nel Verdicchio Doc. Un confit dove la spiccata acidità del vino verde marchigiano contrasta con le carni dolci dell'animale. Speciali e fragranti le loro focacce che, guarda caso, nell'impasto hanno grasso d'oca.

Si riforniscono da Lorenzo Olmetti dell'allevamento biologico “Colline delle Oche” di Filottrano (3473154606).

MACELLAI-GOURMET

La faraona la si cucina ovunque nelle Marche. Ma molto interessante è il fatto che spesso la propongono i macellai-gourmet. L'evoluzione 4.0 della professione. Li si riconosce dal loro banco, scrigno e sintesi della loro abilità e delle loro conoscenze. Alessio Gismondi e Daniela Mazzoli, a Sassoferrato, hanno intrapreso con successo questa strada da oltre venti anni. Piatti d'asporto freschissimi e sfiziosi, stagionali, pronti da cuocere e ispirati alla tradizione gastronomica con inediti e saporiti abbinamenti. Propongono faraone farcite di tartufo, di noci, di castagne, di mortadella e spinaci.

(Macelleria del Corso, Via Cavour, 18, Sassoferrato, 3396924936).

Véronique Angeletti

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